Comunicato FOGOLÂR CIVIC alla stampa italiana – Udine, 8 gennaio 2019
FOGOLÂR CIVIC STA CON IL PRETE ANTI-MINIGONNE DELLA VAL RESIA
Il trentennale movimento civista friulano appoggia il sacerdote che ha avuto il coraggio di denunciare il malcostume dell’abbigliamento inadeguato in chiesa. Il presidente prof. Travain: “Nulla contro il nudo ma contro la sua banalizzazione a dispetto dei luoghi e delle situazioni! Basta con la stupida libertà di fare tutto ciò che si vuole!”
“Laicamente bravo, il sacerdote di Resia, che ha avuto il coraggio di suonarle e cantarle alle figlie e alle madri per l’abbigliamento indebitamente succinto indossato in chiesa dalle ragazze. Bravissimo. E ciò, non perché la nudità sia un’offesa ad una divinità che si dice creatrice, ma per un profano e universale ossequio ai luoghi della sacralità, religiosa o laica che sia, nella cultura di ogni territorio. Basta cosce, deretani, ombelichi, femminili e maschili, tanto nelle chiese quanto nelle scuole! E bravo quel prete ad aver avuto il coraggio di richiamare ad una civiltà che alla sacralità, religiosa e laica, ha riservato sempre, in tutte le culture, un… abito particolare, al di là della nudità o meno. Non c’è nulla di male nel nudo: ce l’hanno insegnato i padri greci e romani e lo abbiamo ribadito innanzitutto noi italici, anche attraverso l’arte, l’arte quella vera, a partire dal Rinascimento. Oggi il fatto è quello che tanti ritengono che non debba esserci relazione tra l’assoluta libertà di capriccio individuale anche in tema di abbigliamento e la considerazione degli altri, di un contesto, di una situazione particolare. Una libertà di capriccio goffamente divinizzata ed imposta al di sopra di ogni civile obbligo di ossequio a principi sovraordinati: il diritto assoluto dell’individuo contro la collettività. Una lotta, dunque, non contro la nudità ma la banalità: se entrare in chiesa, un domani, a scuola oppure in Comune o in Parlamento nudi diventasse non solamente normale ma addirittura un atto di omaggio, da un lato, ad un credo e, dall’altro, ad un’istituzione; se la nudità fosse culturalmente assunta, non senza titoli, davvero come un abito ‘supremo’ da riservarsi – ed è questo il punto – ai momenti ‘alti’ della vita civile e sociale, non vi sarebbe nulla da eccepire. Il punto, invece, è che la banale ordinarietà del nudo, del succinto, dello stracciato, che pervade la moda della nostra cosiddetta civiltà occidentale, vorrebbe imporsi, non solamente nella quotidianità sociale più disimpegnata, ma anche in situazioni e contesti formali, rituali, ufficiali. No! ‘Vonde’! Basta con questa barbarie ribellarsi alla quale può fruttare il titolo di bacchettoni, retrò e quant’altro, che, però, diventa titolo di merito, se ben inteso, a promozione di una civiltà sempre più affidata – passi il termine – ai porci… tanto per rimanere in tema di prosciutti, evocato in modo forse un po’ salace dal coraggioso prete di montagna!”. Così, il prof. Alberto Travain, presidente del Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic” , in una nota del 14 gennaio 2019, dopo giorni e giorni di campagna di stampa orchestrata dal principale quotidiano locale attorno alle condivisibili prese di posizione del vicario parrocchiale resiano don Alberto Zanier contro il malcostume di una malintesa libertà di abbigliamento. “È ora di finirla con questo stupido culto della libertà assoluta alla faccia degli altri e del mondo che ci circonda. L’Uomo è animale sociale per sua comodità difensiva ed affettiva: ebbene ripaghi quella socialità che lo accoglie con il dovuto soldo del rispetto delle altrui sensibilità! E della gente in pantaloni corti nel Duomo di Udine che vogliamo dire? Che sono fuori luogo, che sono ordinari, triviali, sboccati, in una sede di meditazione, preghiera, silenzio! Sono fuori luogo!”.