EuroAquileienses 28.03.2022/I (en)

FOGOLÂR CIVIC press release (to the Italian press) – Udine, 28 March 2022

ORA QUELLA STATUA RICORDERÀ IDEALMENTE IL PRIMO POETA “NAZIONALE” FRIULANO…

A Udine, Fogolâr Civic e Academie dal Friûl hanno “intitolato” a Ermes di Colloredo un’anonima effigie di cavaliere nel Giardino Ricasoli, proprietà un tempo del nobile casato del personaggio di cui si è celebrato spontaneamente così il quarto centenario. Apprezzamenti da Comune ed ARLeF nonché da Casa Colloredo-Mels.

Tu ve, che tu passis achì par câs, culì chel pipin vistût di cavalîr che ti risovegni Ermes di Colorêt, prin famôs poete nazionâl furlan, che a ‘nt finirès chest an juste 400, nobil malapaiât in carieris forestis e amant sôl de patrie dal so fogolâr, che chei de sô cjase ca a vevin zardin…”. Questo il curioso invito, in lingua friulana, ai frequentatori del Giardino Ricasoli, sui verdi spalti dell’antico castelliere udinese, qualora dovessero essere attirati da piccola targa deposta a piedi di un’anonima statua in corazza secentesca, nascosta tra le fronde dell’altura su cui svetta il monumento a Vittorio Emanuele II. È, infatti, costume del Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic” e dal Circolo Universitario Friulano “Academie dal Friûl”, presieduti dal prof. Alberto Travain, quello, non solo di recuperare e riproporre in termini attualizzati la memoria di luoghi, fatti e personaggi della storia e del mito civici locali, ma anche, talvolta, quello di farlo “risemantizzando” – “risignificant” nel friulano aulico di Travain – manufatti ed angoli del territorio privi o privati di significato particolare. Ecco, allora, il caso della ricorrenza dei quattro secoli della nascita del poeta friulano Ermes di Colloredo, cui, il 28 marzo 2022, Fogolâr Civic e Academie dal Friûl, hanno voluto idealmente intitolare l’oscura effigie di cavaliere nel sereno oblio dell’antica area verde urbana della “Capitale del Friuli Storico”. Ma cosa c’entrano la cultura civica ed un lato senso di cittadinanza storica del territorio con i divertimenti letterari e non solo di un disimpegnato nobile friulano di quattrocento anni or sono? Come ha chiarito il prof. Travain nella sua orazione commemorativa, tenuta rigorosamente “in marilenghe”, egli può essere considerato primo poeta “nazionale” friulano, poiché, innanzitutto, chi, prima di lui e ben più motivato, pontificò in versi la necessità di un’affermazione, in campo linguistico-letterario, dell’identità romanza specifica del Friuli, non ebbe affatto la stessa rinomanza di cui la sua abbondante produzione poté, già al tempo, godere, in ambito aristocratico e persino alla corte imperiale di Vienna, assurgendo a simbolo di bucolica spensieratezza patrizia recante il marchio caratterizzante della friulanità. Non si sa dire – ha affermato il professore – se il poetare in friulano del Colloredo potesse anche essere manifesto di una presa di posizione ideale a favore del viver rustico o per meglio dire del disimpegnato, aristocratico, villeggiare, liberamente eletto a verace soddisfazione suprema e a rifugio da un mondo bollato come infido mistificatore o costituisse bandiera e denuncia di quel provinciale ritiro forzato – senza glorie, onori e passioni civili – cui la Repubblica di Venezia condannava i nobili di Terraferma, altra faccia della medaglia di un’Europa di grandi Monarchie che avrebbero ridotto gli antichi feudatari all’inoquo ruolo di vili cortigiani. “Nol è stât sigûr un eroi nazionâl. No un Marc di Murùs, che i Venezians i àn cjonçât il cjâf, che lui nol voleve molâur la bandiere! No un Toni Seorgnan, lazaron ma grant campion di popul! No nancje compagn di un so basavon simpri Colorêt, Zuan, comandant militâr dai furlans rivoltâts cuintri il Pape… Prodecis nuie!” ha rimarcato il presidente fogolarista: fu, dunque, il suo essere disimpegnato e rappresentativo cantore di un vivere scanzonato, burlescamente e anche identitariamente espresso in un friulano, lingua del quotidiano nelle relazioni prosaiche, domestiche, di tanta antica aristocrazia locale a cavallo del confine austroveneto, a farne significativo alfiere di espressione peculiare; di georgici idioma e contesto specifici, riconoscibili; di un’idealizzata esistenza rustica comunque reale rifugio da regole e da parvenze di certo gran mondo dell’epoca. Ermes di Colloredo – secondo Travain – diede divertita voce letteraria alla friulanità casalinga di tanta nobiltà regionale fors’anche in crisi d’identità a cavallo di tante frontiere e barriere e di tanti sogni di gloria necessariamente e forse amaramente perseguiti lontano da casa: “Li sì che al è stât poete nazionâl!”, poeta di un dramma non solo aristocratico che ha trasformato un cuore d’Europa in un terreno di scontro tra potenze terze, frontiera remota priva di ambizioni e con ali tarpate ad ogni cenno di moto, ha detto il professore, riferendosi, in particolare, ma non solamente, alla Serenissima, città-Stato chiusa, gelosa e sospettosa di fronte ad ogni iniziativa “provinciale” che potesse minarne la preminenza. Una situazione che lungamente il Friuli ha patito, anche sotto Austria ed Italia, quanto meno sino alla caduta del Muro di Berlino, ha concluso il presidente Travain, rileggendo soprattutto lo sfondo su cui si staglia la figura del verseggiatore secentesco friulano. Uno sfondo che certo vedeva figure locali anche agli apici della storia europea: basterebbe il caso del cappuccino Marco d’Aviano. Nella vicenda del Colloredo – ha detto Travain – ovviamente avrà inciso anche un dato personale, caratteriale, esperienziale specifico, privato. Vero è che quel dato ha potuto esprimersi in perfetta assonanza con quel certo fatalistico mondo “minore” eppure eccelso nella sua limpida autenticità che ancor si vorrebbe marca distintiva dell’essere friulani. È intervenuta, poi, la prof.ssa Elisabetta Marioni, Assessore all’Istruzione del Comune di Udine, in rappresentanza dell’Amministrazione e in particolare del sindaco prof. Pietro Fontanini, che ha cordialmente apprezzato e condiviso l’iniziativa spontanea dei due sodalizi presieduti dal prof. Travain, memoria vivida e profonda del popolo udinese e della Friulanità. Complimentandosi per il singolare ricordo del Colloredo, la prof.ssa Marioni ha affermato di ritenerlo poeta originale, non mero manierista, anche degno di una qualche attenzione nelle scuole, confessando autentica simpatia per il disinvolto letterato friulano. La vicaria fogolarista prof.ssa Renata Capria D’Aronco, eminentissima esponente della società civile locale, ha ripreso il tema dell’ingiustizia sovente subita e somatizzata dai friulani a causa della tirannide annichilente delle dominazioni avvicendatesi sul territorio, esprimendo un chiaro afflato di riscatto e di affrancamento da ogni costrizione e subordinazione. La maestra Laura Zanelli ha ricordato l’avvincente esperienza scolastica di una pur acerba teatralizzazione di taluni dialoghi letterari del Colloredo ai quali si ipotizza possa avere attinto lo stesso Manzoni per la realizzazione de “I Promessi Sposi”, mentre l’animatore Eugenio Pidutti si è soffermato giocosamente sulla varietà di significati del termine “cort”, più volte evocato durante il discorso commemorativo tenuto dal prof. Travain. Quell’“om di cort in Toscane e Austrie, cjapitani in Gjermanie e Dalmazie, parlamentâr e ufiziâl in Friûl, ritirât infin te sô vile a Guriç” – come recita la piccola targa, deposta ai piedi della suddetta statua in armatura – con le corti davvero non voleva avere a che fare e durissimo, su di esse ed i loro meschini frequentatori, era il suo giudizio, costituito sulle esperienze dirette – e fallimentari – avute a Firenze e a Vienna: “…Hai in tai uess tante malinconie / Daspò, ch’jò soi vistut di Cortesan, / Ch’ogni moment mi pàr lung une mie. / Jò scomenzi a provà cè, cu è il malan, / A vivi di speranze, a mazzà il ver, / Mistìr, che in Cort si fàs simpri dut l’An. / A sta sul sodo, e a chiaminà lizer, / A mangià poc, a bevi pur assai, / A dì di sì, si ben ch’al no l’è ver. / Jò, che simpri in me vite professai / Di jessi in ogni cont e pur, e sclet / Hai di fa chest mistìr? Nol farai mai. / Il vivi di speranze, all’è un brudet, / Che in cort si dà a dut past a chei minchions, / Che sòn stitichs d’inzen, durs d’intellèt. / E jò , che uei dì clar lis mes rasons, / Che chel, ch’hai in bocchie, l’hai anchie tal cur, / E’ no riess nuje in chestis tals funzions…”. Presenti alla cerimonia, oltre ai sodali nominati, l’intendente fogolarista sig.ra Marisa Celotti, la consigliera sociale maestra Manuela Bondio e le cittadine simpatizzanti sig.ra Pasqualina Redivo e sig.ra Angela Vianello. Ostentate, al momento della deposizione della targa, l’odierna bandiera legale del Friuli, con aquila a volo spiegato, e “La Romane”, anche detta “Bandiere di Vuere”, nei colori del “paludamentum” di Giulio Cesare, padre eponimo leggendario della Friulanità. Pervenuti cordiali messaggi di apprezzamento e condivisione anche dal direttore dell’Agjenzie Regjonâl pe Lenghe Furlane, dott. William Cisilino, e dal dott. Antonino di Colloredo-Mels, noto studioso ed eminente membro della grande casata dell’indimenticato Ermes. Per la cronaca, è seguito incontro fogolarista conviviale domestico presso i consiglieri sociali Bondio e Pidutti, con la susseguente proposta di attinente cineforum dedicato al tema dell’ipocrisia e dell’adulazione tanto condannate dal Colloredo.

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