FEBBRAIO 2015 – LA RIFLESSIONE DEL FOGOLÂR CIVIC

UN PECULIARE SENSO EUROPEO E OCCIDENTALE DEL RISPETTO ALTRUI…

Nei giorni successivi al tragico attentato terroristico di Parigi del 7 gennaio 2015, che tanta apprensione ha provocato in Europa e in Occidente, anche nel piccolo cenacolo civico culturale friulano del Fogolâr Civic si è rinnovato un vivo fermento sulle tematiche dell’identità e della coesione comunitaria. A testimonianza di questo si pubblicano a seguire stralci dell’impegnato carteggio sull’argomento tra il giovane consigliere sociale Francesco Nicolettis e il coordinatore generale prof. Alberto Travain.

(Francesco Nicolettis, lettera al coordinatore Travain, Udine, 14 gennaio 2015)

“…Dopo la riunione dell’altra sera, tornai a casa con la testa in subbuglio. Due idee continuavano a scontrarsi nella mia mente: quella della libertà intesa come la intendono i Francesi e in piccola parte gli Americani e la necessità di mettere dei ‘paletti’ a questo disfacimento sociale. Mentre riflettevo su questi due punti senza venirne a capo, mi resi conto che ciò che effettivamente mi dava fastidio dell’attentato a quel giornale satirico francese non era il fatto che esso avesse pubblicato delle vignette blasfeme e nemmeno che i terroristi avessero voluto ‘punirlo’ per questo. Mi fermai, quindi, un attimo per chiedermi: ‘Cos’è, allora, che mi crea tutto questo sconquasso?’. Mi ci volle una notte intera e un articolo del New York Times per farmelo capire: non era il gesto che mi infastidiva più di tutto, ma principalmente il significato che, secondo me, quel gesto portava con se! L’articolo del giornale di New York riportava un fatto accaduto circa cinque anni or sono, all’insaputa di quasi tutti i cittadini della metropoli. Sul tetto di quello che è il palazzo di giustizia della Grande Mela vi sono delle statue raffiguranti taluni grandi legislatori della Storia quali ad esempio Mosè, Carlo Magno e simili. Ebbene tra queste vi era anche quella di Maometto, rimossa però in sordina per non dar adito ad eventuali proteste da parte dei musulmani presenti in città, visto che il Profeta si trovava in mezzo a figure ‘infedeli’ rispetto all’Islam che avrebbero potuto offendere la loro sensibilità dando modo ai fanatici di usare la cosa come pretesto per un attentato. Inutile dire che mi salì una vampata di rabbia che si spense solo ripensando a quanto presenti fossero ancora le ferite del World Trade Center nel cuore dei Newyorkesi e a come ancora si possa percepire la paura che una simile catastrofe abbia a ripetersi. Ecco sino a che punto siamo stati spinti, nella nostra stessa ‘casa’, ad aver paura di offendere le culture ‘altre’ rinunciando completamente alla nostra! Dove si può fissare il sottile limite che passa tra offesa e diritto? E siamo sicuri che una volta fissato questo limite coloro che si ritengono offesi non comincino ad alzare il tiro, a chiedere e pretendere sempre di più facendo leva sul terrore che ormai hanno instillato nelle nostre menti, usando come scudo la loro religione? Ora, è evidente la differenza tra i due fatti, eppure hanno, a mio avviso, entrambi lo stesso denominatore: ottenere tramite il terrore l’annullamento di ‘principi’ che un popolo ha deciso di adottare e che seppur incompresi o usati in maniera errata – come, a mio parere, nel caso di quel giornale satirico francese – rimangono comunque delle conquiste maturate nel corso di anni ed anni di lotte che molte volte hanno richiesto un sacrificio umano e intellettuale notevole ed ora vengono gettati via, sia dagli Europei che non hanno ancora appreso bene come utilizzarli sia da quelli che si piegano ai voleri di culture che hanno come palese obiettivo quello di omologare tutti i popoli a loro. In effetti, quei nostri valori, che differenziano la civiltà occidentale da tutte le altre, sono molto spesso invidiati e ricercati, altre volte osteggiati e combattuti perché ritenuti pericolosi e sovversivi. A quel punto della riflessione mi sorse spontanea un’altra domanda: ‘Il popolo, inteso come la gente che abita una determinata nazione, può forse decidere democraticamente di adottare o abbandonare a certi valori fissando autonomamente i suoi limiti? Chi sono gli altri per arrivare in quella nazione e dettare la propria legge qunado quel popolo vi ha già stabilito la sua?’. Mi tornò in mente quel discorso sull’immigrazione che accennammo alcuni mesi fa durante una ‘cunvigne’ del Fogolâr Civic dalla quale emerse la seguente domanda: ‘Un popolo può democraticamente decidere di non accettare più alcun immigrato, prendendo le misure necessarie a rendere operativa questa decisione?’. Ebbene, se la risposta a questo quesito è si, allora mi si pone d’innanzi un’altra domanda: ‘Un popolo può democraticamente decidere che, per esempio, la satira non sia sottoposta ad alcun tipo di censura?’. La risposta affermativa ad entrambe violerebbe, secondo me, dei valori intrinsechi nella cultura occidentale. Ma non è forse un diritto del popolo, erede della storia di quella parte di mondo, di quella cultura, stabilire se vuole o non vuole dei vincoli? Può esso decidere, in maniera che ad altri può magari apparire errata o lo è per davvero, sui propri usi e costumi, ripescando anche nelle tradizioni più prossime? Oppure non può farlo perché ci sono dei valori ideali che trascendono quello che un popolo può decidere di fare, valori che provengono da millenni di Storia, dal sacrificio di molti e che sono insiti nella nostra società civile, appartengono non ai singoli territori ma all’eredità di una civiltà? Valori, i nostri, che in questo specifico periodo storico, come anche in passato, il mondo orientale e mediorientale alle volte invidia, alle volte non capisce, alle volte persino tenta di distruggere con il beneplacito di un’Europa narcotizzata. Ma fino a che punto un singolo popolo può decidere ciò che è giusto per sé? Chi può ergersi a giudice insindacabile: la sola nostra coscienza? A conclusione di questo guazzabuglio di parole, spero non troppo confuso, ecco un’ultima domanda ancora: ‘Possiamo noi Occidentali, noi Europei, lasciare che altre culture, con le loro idee di come dovrebbe essere il mondo, vengano da noi e a modo loro cerchino di cambiarci, magari anche alle volte in meglio, oppure dovremmo appellarci a noi stessi, fare un esame di coscienza e decidere una volta per tutte cos’è il mondo Occidentale, decidere quali sono i suoi valori fondamentali e dichiararli, limpidi e irremovibili, ed una volta fissati essere pronti a difenderli con tutti i mezzi messi a nostra disposizione?’. Io propendo più per questa seconda ipotesi perché, con i tempi che corrono e con uno scontro di civiltà già iniziato e che sembra acuirsi sempre di più, mi sembra una follia mostrarci divisi agli occhi delle altre culture. Personalmente ritengo che dovremmo fare fronte comune, noi tutti Occidentali, quando rispondiamo ad attacchi esterni, anche se non condividiamo le idee di coloro dei nostri che vengono colpiti, poiché sulle idee abbiamo tempo di discutere tra noi fino allo sfinimento. In conclusione, penso sia nell’interesse della nostra ultramillenaria cultura fare quadrato in questa ‘guerra’ insidiosa, che sfrutta le nostre stesse libertà per tentare di distruggerci, perché, come ha dimostrato Cesare, il ‘divide et impera’ funziona molto bene per far collassare popoli uniti e se necessario anche intere civiltà, già indebolite dalle loro beghe interne…”

(Alberto Travain, lettera al consigliere Nicolettis, Udine, 14 gennaio 2015)

“…Inutile dire quanto io apprezzi l’appassionata motivazione delle riflessioni che mi proponi. A mio avviso deve esserci innanzitutto un peculiare senso europeo, occidentale, di rispetto altrui. Ebbene, qualunque esso sia, certa satira, certo giornalismo, certi intellettuali, ne hanno fatto carta straccia. Per quanto mi riguarda, sono pronto, idealmente come i miei antenati, a Lepanto, a Vienna e ancor prima a Granada e forse anche a Poitiers, a difendere il diritto dell’Europa ad avere una propria distinta civiltà. Ma una civiltà che implica il diritto di offendere i sentimenti più intimi dell’Umanità non è europea perché innanzitutto non è cristiana e se a farcelo presente in maniera anche drastica sono coloro che vengono da fuori significa soltanto che dal canto nostro ce ne siamo dimenticati. Gli Americani non dovevano togliere la statua di Maometto dal Palazzo di Giustizia di New York perché il motivo che li aveva condotti ad erigerla non era, in base alla loro cultura, né direttamente né indirettamente quello di irridere alla sensibilità degli islamici… a differenza di certi buontemponi francesi e loro seguaci… Deve esserci una civiltà europea e occidentale del rispetto, del limite prima del baratro, a tutela di tutti. Chiunque non ritenesse di riconoscere il diritto-dovere a quel limite, a mio parere, può accomodarsi felicemente altrove! Continueremo il discorso. Chiediti soltanto da dove viene il sentire popolare che si dissocia da quelle vignette: dalla paura del terrorismo o dalla grande coscienza civile europea? E l’adesione a quelle vignette da dove viene se non dalla rivendicazione di uno sciagurato, distruttivo diritto a non avere limiti? Può essere questa la civiltà di un continente che ha dominato il mondo? Senza regole non si governa. Senza regole non si vive, quindi ancor meno si garantisce la felicità ai popoli, principio molto ‘europeo’ e ‘occidentale’!…”.

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