Giorno del Ricordo “euroregionale”

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Comunicato FOGOLÂR CIVIC alla stampa italiana – Udine, 11 febbraio 2019

UN GIORNO DEL RICORDO “EUROREGIONALE”

Il movimento del Fogolâr Civic ricorda a Udine tutte le genti perseguitate del litorale adriatico orientale presso gli stalli dei vescovi istriani dell’antico e glorioso Patriarcato di Aquileia. Il leader Travain: “Condanniamo chi divise nel disprezzo ciò che Aquileia unì nel rispetto!”. Il delegato Barbagallo: “’Udine Nuova Aquileia’ diventi un mantra per il futuro!”. La presidente arengaria D’Aronco: “Il ricordo sia testimonianza e monito civici contro ogni tirannide!”.

Viva l’Austria! Viva Venezia! Viva Aquileia! Anche nel passato, non solamente nel presente e nel futuro, dobbiamo avere il coraggio di scegliere, non da storici, ma da cittadini e da esseri umani maturi. Viva l’Austria, Venezia, Aquileia: non certo l’Italia, non la Jugoslavia! Lo strutturalmente sapiente governo di una compagine multinazionale, quali sono da sempre le nostre terre, le nostre amatissime patrie naturali, non ha confronti con la barbarica oscenità degli Stati nazionali monoetnici impostisi anche ai nostri lidi in aperto contrasto e ad oltraggio alla grande lezione che fu dell’Impero romano e, prima ancora, di quelli ellenistico e persiano. L’inaccettabile tragedia delle foibe, delle violenze slavo-titine contro le stirpi romanze della costa adriatica orientale, preceduta dall’altrettanto inaccettabile tragedia delle popolazioni slave calpestate dall’invasione e dalla tirannide italo-fasciste, fa capo ad un errore criminale ideologico fondamentale mirante a trasformare le differenze in contrapposizioni e divisioni politicizzate ed istituzionalizzate. Ecco allora la parzialità del cosiddetto Giorno del Ricordo, vissuto in termini, in qualche modo, di riscatto di un’italianità calpestata ed obliata. La vicenda, invece, è ancora più grave ed inaccettabile. I nazionalismi e gli Stati etnico-nazionali del Novecento hanno agito imperdonabilmente contro la natura storica delle terre in questione, rivendicando primati esclusivi di una componente sull’altra, in un quadro di commistione spesso inestricabile di etnie, lingue, culture, confessioni. Le genti adriatiche devono poter riappropriarsi delle proprie appartenenze storiche territoriali comuni, delle proprie gloriose piccole patrie interetniche avvelenate dalla maledizione dei nazionalismi e degli imperialismi ad essi collegati: non certamente riferisi a Stati nazionali dell’uno o dell’altro, vera contraddizione in termini nel più bello e vario crocevia d’Europa. Viva l’Austria! Viva Venezia! Viva Aquileia! Ecco chi seppe accostare e affratellare, senza troppa retorica, questo mosaico di diversità! Siamo decaduti, siamo franati rispetto a ciò che siamo stati: ci siamo fatti ridurre a frontiera ed a sentinella altrui, a remoti avamposti di civiltà altrettanto remote rispetto a noi, che ci hanno disposti a fare la guardia alla loro soglia facendoci credere che fosse la nostra. Recuperiamo il senso e l’orgoglio la nostra migliore storia! Le violenze del passato furono generate dal fatto che, a un certo punto, essere istriani oppure dalmati diventò secondario rispetto ad essere italiani, sloveni o croati. La piccola patria, che aveva sempre aggregato tutti, si trovò scomposta in appartenenze etniche e fedeltà nazionali contrastanti, principi di divergenza in parte già sussistenti ma non per forza preponderanti sul senso civico territoriale. Chi ha indotto gli istriani a sentirsi prima o soltanto italiani o sloveni o croati invece che istriani soltanto o prima di tutto è davvero il primo artefice responsabile delle atrocità conseguenti. Fa senz’altro bene il Capo dello Stato italiano a dire che ‘l‘Ue è nata per contrapporre ai totalitarismi e ai nazionalismi del Novecento una prospettiva di pace, di crescita comune, nella democrazia e nella libertà. Oggi, grazie anche all’Unione Europea, in quelle zone martoriate, si sviluppano dialogo, collaborazione, amicizia tra popoli e stati. Le stragi, le violenze, le sofferenze patite dagli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati non possono essere dimenticate, sminuite o rimosse. Esse fanno parte, a pieno titolo, della storia nazionale e ne rappresentano un capitolo incancellabile, che ci ammonisce sui gravissimi rischi del nazionalismo estremo, dell’odio etnico, della violenza ideologica eretta a sistema. Bene. Bravissimo. Ma sarebbe il caso anche di essere più chiari: è il principio stesso dello Stato etnico-nazionale che va aborrito, del costruire Stati e cittadinanze in base alla ‘tribù’ e non della civica, anche multietnica, condivisione storica di un territorio!”. Appassionata ed articolata la riflessione proposta dal leader del Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic”, l’udinese prof. Alberto Travain, che in occasione del Giorno del Ricordo 2019, si è recato, con delegazione sociale, nel duomo della “capitale” friulana erede della metropoli transfrontaliera mitteleuropea di Aquileia, dove, come gesto di fratellanza nei confronti delle martoriate popolazioni del litorale adriatico orientale, ha voluto far stendere, di fronte ai seggi degli antichi vescovi dell‘Istria affiancati al soglio del Patriarca aquileiese, loro metropolita, un grande stendardo euroregionalista, lungo dieci metri, cucito nel 2005 dalla “pasquottina” udinese sig.ra Mirella Valzacchi, a testimonianza di un legame storico con radici profonde locali. “Gli istriani italiani non sono affatto nostri fratelli in quanto italiani, ma prima ancora in quanto istriani!” ha detto Travain: “Lo stesso vale per gli istriani croati e sloveni. Non abbiamo bisogno di una nazione sovraordinata per dirci fratelli. È la nostra storia, quella più remota, quella più gloriosa, a renderci tali! Tra dette memorie dovrebbe pescare anche una sapiente Amministrazione civica, figlia cosciente di una città che ha avuto e può avere ancora, nel solco di Madre Aquileia, un ruolo autocefalo ed originale di propulsore di civiltà e di pace tra popoli, etnie, culture, nella coscienza di una matrice comune illustre e moralmente superiore ad ogni altro vincolo. In linea di principio, si potrebbe dire che la rovina dei nostri popoli si possa far rimontare a quello sciagurato 6 luglio 1751, quando spaccando il venerabile patriarcato internazionale aquileiese lungo i confini politici che lo solcavano, si affermò clamorosamente un principio opposto a quello di unità superiore alle differenze. Nel 2014, centenario della Grande Guerra fratricida, proponemmo quell’anniversario come ‘Giorno del ricordo euroregionale‘ affermando che ‘ricordare insieme tutti i genocidi compiuti o tentati in questo nostro crocevia d’Europa, additandone e condannandone duramente come nemici le fazioni, i regimi e gli Stati che se ne fecero responsabili e come nociva la sostanziale comune matrice oppressiva e discriminatoria che profondamente ebbe a minare gli animi delle genti di quel crogiuolo di differenze armoniosamente accostate un tempo sotto le bandiere di Venezia e di Vienna, ma innanzitutto della Madre Aquileia, crogiuolo ridotto a lacerante frontiera da nazionalismi ed intolleranze d’importazione, inculcati da poteri ‘foresti’ presso popolazioni abituate a convivere o certamente comunque a non dividersi ossessivamente su basi etniche. Andiamo, quindi, alle radici del male insinuato nel corpo della nostra ultramillenaria convivenza internazionale! Ci vuole un giorno della memoria ovvero del ricordo ‘euroregionale’, della rimembranza di come, di cosa e di chi nella Storia ha seminato zizzania tra le nostre genti e di quanto invece esse spontaneamente o per indirizzo istituzionale hanno saputo costruire insieme un vivere civile nel vero rispetto delle diversità! La data del 6 luglio, giorno dell’abolizione, per vergognosi motivi politici, nel 1751, del venerando Patriarcato internazionale di Aquileia, sorta di prima Mitteleuropa unita, che per circa un millennio aveva affratellato, sul piano spirituale e culturale, latini, slavi, germani e magiari, tra Danubio e Adriatico, Lombardia ed Ungheria, potrebbe prestarsi simbolicamente come poche altre a tale funzione. Il soldato con la spada sguainata, all’epoca dipinto dal Tiepolo nel Giudizio di Salomone presso il Palazzo Patriarcale di Udine, nell’atto di tagliare a metà il bambino conteso della leggenda, non pare altro che un richiamo truce al fosco destino riservato nei tempi a venire alle genti di un cuore d’Europa che deve ritrovare la strada maestra della sua esemplare missione di pace‘. Deve pur esserci, insomma, un tempo per condannare chi divise nel disprezzo ciò che Aquileia unì nel rispetto!”. Concorde il delegato culturale fogolarista, lo storico romano-udinese Alfredo Maria Barbagallo, che ha tenuto a rimarcare come il motto “Udine ‘Nuova Aquileia’”, lanciato da Travain, debba divenire un mantra necessario nella prospettiva di un degno sviluppo del capoluogo friulano nel quadro internazionale. La prof.ssa Renata Capria D’Aronco, cameraro presidente dell’Arengo democratico cittadino, massima carica morale elettiva del civismo culturale udinese, ha siglato l’iniziativa sostenendo il valore di una civica presenza testimoniale a certe cerimonie, come affermazione di ostilità e mobilitazione della cittadinanza contro ogni genere di ingiustizia e di prepotenza. Tra le rappresentanze sociali convenute, il sig. Giuseppe Capoluongo, la sig.ra Marisa Celotti, la sig.ra Milvia Cuttini, la dott.ssa Maria Santa di Prampero de Carvalho, il prof. Pietro Enrico di Prampero, la sig.ra Renata Marcuzzi, la sig.ra Luigina Pinzano, la sig.ra Paola Taglialegne, insieme alla storica segretaria del movimento fogolarista, sig.ra Iolanda Deana. Presenti anche delegazioni del Circolo Universitario Friulano “Academie dal Friûl”, del Club per l’Unesco di Udine, del Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, Cipro, Rodi, Malta e San Pietroburgo, del Coordinamento Civico Udinese “Borgo Stazione”, del Coordinamento Euroregionalista Friulano “Europa Aquileiensis”, della Confraternita del Santissimo Crocifisso di Udine.

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