Gli udinesi non dimenticano Regeni

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Comunicato FOGOLÂR CIVIC alla stampa italiana – Udine, 26 luglio 2018

CIVISMO UDINESE CELEBRA REGENI A DUE ANNI E MEZZO DALLA TRAGEDIA

Rinnovata nel capoluogo friulano l’accensione di un lume ai piedi della Colonna della Giustizia, appuntamento civico mensile per non cedere all’oblio della vicenda. Travain (Fogolâr Civic): “Evidente inadeguatezza dello Stato italiano”; Capria D’Aronco (Arengo): “Regeni figlio adottivo di Udine Capitale”; Barbagallo (Europa Aquileiensis): “I friulani lo accolgano nel loro Pantheon”.

A Udine, nel cuore della “Capitâl dal Friûl”, presso la Colonna della Giustizia, in Piazza Libertà, alle ore 19.41 di mercoledì 25 luglio 2018, a due anni e mezzo esatti dal sequestro al Cairo del ricercatore universitario Giulio Regeni da Fiumicello, delegazioni del civismo friulano raccordato attorno al Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico Fogolâr Civichanno rinnovato testimonianza della volontà di perseverare nella rivendicazione di verità e di soddisfazione come comunità rispetto all’oltraggio collettivo subito attraverso la barbara eliminazione del probo giovane corregionale. Appassionata l’orazione civile del prof. Alberto Travain, presidente del Fogolâr Civic e del Circolo Universitario Friulano “Academie dal Friûl”. Homo morto non fa guerra si diceva a Venezia ai tempi in cui il terribile friulano Tristano Savorgnan si era proposto alle autorità della Serenissima per assassinare nientepopodimeno che il re di Francia Carlo VIII, colpevole di offendere e d’invadere l’Italia. Tanto spregiudicati quanto efficaci in passato gli Stati trovavano il mezzo per incutere timore presso gli avversari. Lo scempio di Regeni nonché il dileggio della sua gente, della sua terra, del suo Paese, un tempo l’Egitto l’avrebbe senz’altro pagato caro. Al tempo in cui l’Italia si chiamava Venezia, Firenze, Milano, Roma, Napoli ossia nell’età del Rinascimento, dietro ai pacifici convenevoli dei diplomatici, si celava una guerra di spie e di sicari non meno temibile di quella sul campo, con cavallerie e fanterie schierate. Allora sarebbe stato difficile oltraggiare impunemente gli Sforza, i Medici, gli Estensi o i Gonzaga. A due anni e mezzo, ora, dal martirio di Giulio Regeni, l’inefficacia dello Stato italiano può ancora permettere alle ambigue autorità egiziane di farsi beffe quanto meno di un’Italia istituzionale pragmaticamente ossequiente nei confronti di una tirannide conclamata da utilizzare come vanitosa pedina sullo scacchiere nordafricano e mediorientale. Un tempo, le pedine erano pedine, nulla di più. Dunque, due anni e mezzo d’inconcludenza, non si sa quanto mediocremente ingenua o quanto cinicamente furbesca. E il dato è che a due anni e mezzo dalla tragedia Regeni, lo Stato italiano amaramente conferma, mutatis mutandis in sede governativa, un’irritante incapacità di farsi valere, di farsi temere, dalle autorità di quella Repubblica Araba d’Egitto in cui è avvenuto impunemente lo scempio del probo ricercatore friulano. Incapacità o mancata volontà, ben s’intende, a tutela di equilibri garanti d’interessi economici e geopolitici del Bel Paese e non solamente. Si è sperato nell’oblio, in Italia come in Egitto. Municipi italiani vergognosamente pronti a ritirare dai propri balconi lo striscione rivendicativo di verità sul Caso Regeni: l’episodio di Trieste, capoluogo regionale dello studioso massacrato, il primo a gridare vendetta. Tra le stesse scuole del suo Friuli, alcune – le più rinomate: dalla Manzoni allo Stellini di Udine , sino all’Università friulana – espongono oggi ancora lo striscione commemorativo di Giulio; in altre, ignavia ovvero presidi succubi di genitori politicamente impegnati in chiave ostruttiva sembra abbiano potuto avere la meglio impedendo ogni iniziativa di richiamo alla questione. Bell’esempio per le giovani generazioni? Meritava un cenno e un apprezzamento, da parte della carta stampata locale, il meritorio esempio del Comune di Udine che, all’unanimità, dalle sinistre alle destre, nel suo Consiglio, il 28 giugno 2018 ha votato l’impegno a reitrarare la propria testimonianza rivendicativa sul Caso Regeni, con striscioni, banner informatici e missive ad hoc alle autorità italiane e alle rappresentanze egiziane in Italia. Davvero un bell’esempio, uno schiaffo a una politica vergognosa che ha trasformato il Caso Regeni da questione umana, civica e patriottica a bandiera di fazione. Come un buon esempio dà quella parte di Paese, amministrazioni e società, che sinora non ha mollato la presa, facendo idealmente ala all’indomita azione della famiglia Regeni e, ad un tempo, affermando la ‘civicità’, la collettività del lutto e dell’oltraggio in faccia a chi ha tentato e tenta di ridurli a fatto di mero dolore privato e di privata ricerca della giustizia. L’Università degli Studi di Udine è stata miseramente battuta in fantasia e iniziativa dalla sua omologa di Parma, che il 21 maggio scorso ha intitolato l’aula studio al ricercatore friulano. Quale onore e quale amarezza per un Friuli – diciamolo – un po’ spento! E che dire del nuovo Governo italiano? Oltre alle inopportune prime affermazioni del ministro Salvini, ci sono state tante belle parole, ma nessuno pare abbia mai alzato davvero la voce. Da Salvini a Renzi, da Antonio a Cesare, il Paese dei Faraoni sembra incredibilmente irretire i politici italiani, riducibili a trottole in mano ‘levantina’, creduloni più o meno convinti volti a farci credere nelle buoni intenzioni del governo nilotico sulla risoluzione del Caso Regeni. Eppure su quel trono d’Oltremare c’è l’ex generale Al Sisi, non certamente un tipo interessante quale poteva essere l’affascinante ed astuta regina Cleopatra! Rileva sull’argomento, ma senza gran peso, come già ai tempi della Boldrini, la particolare determinazione del Presidente della Camera dei Deputati, ora on. Roberto Fico. Lo stesso Salvini pare maggiormente ora recepire la necessità effettivamente patriottica di premettere ad ogni relazione con l’Egitto la risoluzione del tragico caso del ricercatore friulano. Non dimenticare e – mi permetterei – nemmeno perdonare dovrebbe essere, a mio pare, il modo in cui affrontare dignitosamente la gestione istituzionale e sociale della vicenda!”. Ha preso la parola, a seguire, il “cameraro” presidente dell’Arengo cittadino udinese, prof.ssa Renata Capria D’Aronco, che ha indicato in Giulio Regeni una figura da guardare come esempio: “Si assiste oggi, da parte di numerosissimi nostri giovani, a una manifesta dimostrazione d’incoerenza rispetto ai nostri valori storici. I nostri udinesi, i nostri friulani, sin dalle radici, sono stati orgogliosi della propria civiltà. Semplici, riservati, però, e tendenzialmente rigorosi e onesti, hanno dovuto subire una sorta di ‘Via Crucis’ per riuscire a riappropriarsi, attraverso i secoli, di un’identità spesso irrisa e negata, rispetto ad altre della Penisola. Udine, il suo Arengo, ha accolto Regeni come figlio adottivo, figura emblematica, esempio del migliore modo essere del suo popolo. È nostro diritto e nostro dovere senz’altro procedere nella più irriducibile rivendicazione di verità e giustizia. Lo dobbiamo a Giulio, alla sua famiglia, e alla nostra cittadinanza attiva che lo ha eletto a bandiera dei suoi valori. In qualità, inoltre, di presidente del Club per l’Unesco di Udine, nel ricordare come l’Unesco stessa abbia a cuore la condivisione e il riconoscimento dei diritti e dei doveri universali, voglio a chiare lettere rimarcare come il dott. Regeni avesse il diritto e il dovere di procedere con le sue ricerche in campo socio-politico-economico e di mettersi a disposizione della verità anche sfidando le insidie di luoghi e situazioni pericolosi. Lui aveva il diritto di ricercare le verità d’Egitto, noi oggi il dovere di sostenerne le istanze di giustizia!”. Per lo storico romano Alfredo Maria Barbagallo, delegato del coordinamento euroregionalista “Europa Aquileiensis”, Regeni “è un eroe moderno, degno figlio della storia della sua terra”. Riguardo alla gestione politico-istituzionale della vicenda, lo studioso ha parlato di “esitazioni”, “ricerca di compatibiltà incompatibili”, “inumanità”, invitando il suo popolo e la sua terra ad “accogliere Regeni nel Pantheon dei ricordi più stretti e cari”. Si è rinnovato così, nel cuore del Friuli, l’omaggio civico mensile e l’impegno popolare alla memoria di un eroe cosmopolita friulano su cui il più battagliero civismo locale non permetterà – come dichiarato – che mai scenda colpevole oblio. Ad attestazione, il rinnovo della targa commemorativa e del lume che perennemente arde presso l’antica colonna udinese su cui minacciosa, con spada sguainata, campeggia una bella allegoria della giustizia.

 

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