Zovin Caton furlan cuintri dal precariât

20190201-2

Note FOGOLÂR CIVIC pe stampe taliane – Udin, 1 Fevrâr 2019

LA LETTERA DI MICHELE SUGLI SCRANNI DELL’ANTICO PARLAMENTO DEL FRIULI

Il civismo udinese raccolto dal Fogolâr Civic ha ricordato il secondo anniversario del suicidio del giovane “Catone” friulano ribelle alla tirannide del precariato.

Non potevamo certo non assumerla come pregnante scadenza di vivissimo richiamo a riflettere e ad alzare la voce sulla materia del precariato lavorativo e della precarietà assunta come dato totale ed identitario dalla sciagurata pseudociviltà di questo nostro Occidente”. Giovedì 31 gennaio 2019, in visita privata presso lo storico Salone del Parlamento della Patria del Friuli, al Castello di Udine, di fronte all’effigie di Catone Uticense, emblema civico di somma rivolta contro la tirannide, una variegata rappresentanza del civismo culturale cittadino raccordata dal movimento del Fogolâr Civic, ha reso omaggio, nel secondo anniversario, al ricordo del giovane “Catone” friulano, Michele Valentini, che si tolse la vita nel 2017 come estremo atto di ribellione alla tirannia di una precarietà non solamente lavorativa. Con voce ferma eppure insidiata dalla commozione, il presidente del Fogolâr Civic, prof. Alberto Travain, ha dato solenne lettura del testo della struggente lettera di commiato lasciata dal trentenne. Eccone, a seguire, il testo. “Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi. Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte. Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità. Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia. Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile. A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive. Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione. Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare. Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno. Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie. Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, il modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri. Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino. Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene. Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento. P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi. Ho resistito finché ho potuto”. Terminata la lettura, il presidente prof. Travain ha deposto il testo sugli scranni dell’antico Parlamento friulano, collocandovi anche una rosa rossa, simbolo del Fogolâr Civic tratto da grandi ribellioni antitiranniche della lunga storia del Friuli, mentre, compunte, le rappresentanze sociali convenute osservavano un silente minuto di omaggio. Poi, l’orazione presidenziale, in cui il professore ha puntato il dito innanzitutto contro la montante insensibilità della società occidentale attuale, certo a procedere da quella friulana, che, al confronto con talune altre realtà d’Italia e d’Europa, Travain ha classificato come tutt’altro che esemplare e, anzi, necessitante di particolare intervento educativo-culturale a scopi edificanti. “Mi pare che molti friulani di oggi tendano ad essere senza cuore, indifferenti, irridenti. A nulla valgono facili richiami al fiorente spirito associazionistico, a parrocchiette ed oratori! Vogliamo dire che questo nostro celebrato Friuli è veramente tessuto tangibile di solidarietà ed empatia diffuse? Come mai, di fronte alla tragedia di Regeni, la prima Regione ad esporre lo striscione rivendicativo di verità non è stata la nostra bensì la Puglia? I ‘friulanissimi’ pragmatismo e riservatezza stanno divenendo sempre più una scusa per nascondere cinismo ed egoismo. Precarietà lavorativa e disinvolta rottura di legami e fedeltà sociali, uniti a celtico, atavico, individualismo, fanno di questo nostro granello d’Occidente una realtà allo sbando come mille altre, mentre un sano orgoglio di questa terra avrebbe potuto in parte tutelarla dal dilagare di una barbarie che non approda ai nostri lidi con barconi ma innanzitutto con sciagurati malvezzi diffusi ad arte da chi ritiene di guadagnarci da una deriva della società, non soltanto a causa della precarietà del lavoro ma anche nel campo della coesione, di sentimenti e affetti! L’estremo gesto del nostro Michele, rivolto soltanto ‘contro’ se stesso ed inteso come atto di affrancazione, dissociazione, dalla barbarie incombente, pare, in fin dei conti, un atto di amore per l’Umanità. È lui stesso scriverlo: La mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno‘. A noi un dovere di considerazione e testimonianza militante, presidio e denuncia di queste problematiche che i potenti della nostra società, complice talvolta un’informe plebe convintamente o forzatamente compiacente, desidererebbero trasformare in normalità, alienando ad hoc, così, la percezione della realtà imposta! ‘Nemici pubblici’: chi ha avuto, ad esempio, il coraggio di farsi beffa di un giovane politico ora vicepremier per i suoi trascorsi di precariato quale cameriere di trattoria e venditore di bibite allo stadio è da ritenersi, a mio modesto avviso, ‘hostis publicus’, ‘nemico pubblico’, offensore inaccettabile della dignità della Persona e del Lavoro! Chi osa irridere alle ‘vittime’ di questo sistema del lavoro, è, a mio parere, un criminale sociale puro e come tale va socialmente considerato e civilmente dissuaso dal perseverare!”. Carica morale elettiva massima del civismo urbano, la prof.ssa Renata Capria D’Aronco, presidente dell’Arengo udinese, ha portato idealmente il saluto e manifestato la vicinanza del popolo comunale riunito in assemblea spontanea. A seguire, lo storico romano-udinese Alfredo Maria Barbagallo ha richiamato innanzitutto la politica alle proprie responsabilità in tema di sviluppo delle potenzialità ricettive del mondo del lavoro. La dott.ssa Maria Santa di Prampero de Carvalho, ex assessore udinese alla Cultura, ha auspicato che rapporto e dialogo in famiglia possano in futuro di nuovo costituire un basilare punto di forza e di riferimento di fronte alle varie precarità nella vita odierna. La dott.ssa Laura Zanelli, presidente dell’Associazione Giulietta e Romeo in Friuli, ha sottolineato l’importanza del culto degli affetti e di una presa di coscienza diffusa dell’importanza determinante dei sentimenti e dei comportamenti individuali. La prof.ssa Luisa Faraci, consigliera dell’Arengo per il quintiere udinese di Gemona, ha formulato l’auspicio che, nello sbandanto di questa società, l’impegno gratuito a favore del prossimo possa essere antidoto, per quanto possibile, al deflagrare incombente e devastante di legami e ruoli. Ha preso la parola, poi, l’educatore sig. Eugenio Pidutti, per dichiarare la propria personale incapacità a giudicare situazioni e gesti estremi come quello di Michele ed altri simili od assimilabili. Presenti anche amici di famiglia del ragazzo. Assente la Rappresentanza municipale, non invitata in seguito a rottura dei rapporti diplomatici tra Fogolâr Civic e Amministrazione, causa riscontrata indisponibilità ad un serio dialogo programmatico. Tra le delegazioni, anche il “capitano” paliesco dei borghi udinesi oltreché presidente dell’Associazione Antico Borgo Aquileia, sig.ra Annamaria Gisolfi, e rappresentanze del Circolo Universitario Friulano “Academie dal Friûl”, del Club per l’Unesco di Udine, del Sovrano Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, Cipro, Rodi, Malta e San Pietroburgo, del Coordinamento Civico Udinese “Borgo Stazione”, del Coordinamento Euroregionalista Friulano “Europa Aquileiensis” oltreché del promotore Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic”, presente anche con l’attivista sig.ra Iolanda Deana, “panarie” ovvero segretaria del sodalizio oltreché consigliera dell’Arengo udinese per il quintiere di Grazzano, e con le valide sodali sig.ra Renata Marcuzzi e sig.ra Paola Taglialegne. Apprezzando l’iniziativa, i genitori di Michele, i signori Roberto Valentini e Grazia Zuriatti hanno inviato una nota, a firma del padre del giovane, che si dà di seguito. “Dicembre 2018 – Non solo noi che siamo stati (!) genitori di Michele, ma i suoi amici, i conoscenti, i colleghi dei corsi che ha frequentato ne hanno fatto di lui ritratti diversi, ne ricordano aspetti differenti, ne hanno colto sfumature del carattere che altri non hanno visto e queste considerazioni hanno avuto origine dal fatto che ieri pomeriggio, per riporre la fotocopia della lettera inviata ai giornali in occasione del secondo mancato compleanno di mio figlio, ho ripreso in mano una cartella speciale, quella della rassegna stampa che contiene documenti e scritti che ho ordinatamente raccolto dal giorno della sua morte. Rileggendo molti di questi scritti ho ritrovato anche le testimonianze commosse anche di chi non lo ha mai conosciuto e su di lui si è formato un’opinione sulla base della lettera/testamento che ha lasciato. I cerchi che la sua denuncia, come un sasso, ha provocato, continuano ad allargarsi nello stagno della comunicazione mediatica ed è ancora viva la sua testimonianza sul malessere diffuso che caratterizza “la meglio gioventù” del nuovo millennio. È appunto questo il potere evocativo della parola, perché ci sono nel voluminoso contenitore lettere ai giornali, dichiarazioni di personaggi noti rilasciate in interviste televisive e giornalistiche, commenti di partecipazione al nostro dolore di genitori, spunti di riflessione che partono dalla personale vicenda per allargare la denuncia sui mali della nostra epoca, testimonianze di comprensione per il tragico gesto, ma anche dissenso per una resa giudicata prematura, molte sotto forma di e-mail come si usa oggi, ma soprattutto, particolarmente toccanti, biglietti scritti a mano lasciati sulla sua tomba anche a distanza di molti mesi, di giovani come lui e di meno giovani che hanno vissuto o vivono tuttora lo stesso disperante disagio”. Alla detta nota, la famiglia ha allegato i seguenti pregnanti versi “Non torna dal suo viaggio / il sognatore / stanco di troppe delusioni / che ha dato fuoco ai suoi sogni / e ha scritto per chi resta / la trama del suo racconto più triste”.

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