FOGOLÂR CIVIC press release (to the Italian press) – Udine, 26 February 2019
“CI VUOLE UN NUOVO COLONIALISMO, FILANTROPICO E SOLIDALE!”
A tre anni e un mese dall’impunito scempio in Egitto del ricercatore friulano Regeni, il Fogolâr Civic udinese commenta gli ultimi sviluppi politici del caso e, in generale, il quadro delle relazioni tra Italia, Europa, Occidente e Paesi arabi.
“Colât te vuate?”. Anche il premier Conte è caduto nella trappola degli eccessi del “politicamente corretto? “Devo dire che il presidente Al Sisi ha assolutamente testimoniato la sua costante attenzione e il rinnovato impegno perché questo caso giunga” a soluzione. Confido che si possa continuare in questo dialogo costante tra me e il presidente Al Sisi affinché si possa giungere a una verità giudiziaria”: in queste dichiarazioni, riportate diffusamente da media e social, il Presidente del Consiglio italiano pare aver detto quello pensa dell’interlocutore nilotico con la collaborazione del quale si dovrebbe risolvere il Caso Regeni. “Tutto questo, forse, può essere accettabile nel quadro delle falsità di una politica estera che, nella Storia, sempre e dovunque è stata, nella pratica, così!” ha commentato, a Udine, antica capitale della regione di Giulio Regeni, il presidente del trentennale Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic”, prof. Alberto Travain, a tre anni ed un mese dalla scomparsa al Cairo del probo giovane ricercatore friulano, culturalmente inviso al regime d’Egitto. Rinnovando l’omaggio mensile al ricordo del “martire cosmopolita” di Fiumicello, gesto, ad un tempo, di civica rivendicazione, che si ripropone presso la storica colonna udinese della Giustizia, “sincera espressione di civiltà del popolo del Friuli”, il presidente del Fogolâr Civic ha riaffermato le perplessità di larga parte della società civile circa le speranze di una seria e pacifica soluzione della vertenza. “Ci rendiamo conto di che interlocutore abbiamo di fronte?” ha detto Travain: “Uno che, al termine degli incontri euro-arabi di Sharm el-Sheik ha detto ai giornalisti occidentali, testuale, ‘Non ci detterete quale debba essere la nostra umanità. Noi abbiamo la nostra umanità, noi abbiamo i nostri principi, noi abbiamo la nostra moralità. Voi avete i vostri, noi li rispettiamo. È per questo che vi chiediamo di voler rispettare i nostri principi e costumi, come noi rispettiamo i vostri‘ non lascia campo ad interpretazioni moderate! Nessuno ha imposto all’Egitto la firma della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma, questa, una volta firmata, ha imposto anche al Paese dei Faraoni una linea etica dalla quale non è possibile deragliare, pena ostracismo dal consorzio civile internazionale! Questi sarebbero gli interlocutori! Chiudere il dialogo con gli egiziani non porterebbe ad una comunque utopica verità giudiziaria, tutt’altro che garantita anche dallo stesso mantenimento di relazioni diplomatiche ufficiali a loro volta garanti d’interessi nazionali ed internazionali. Conte sinora ha saputo mostrarsi particolarmente determinato ed irriducibile sul Caso Regeni, facendo decisamente propria la tesi di un interesse nazionale incarnato nell’istanza stessa di verità sulla tragedia del ricercatore fiumicellese. La scelta di trattare il ‘barbaro’ da ‘civile’ è furbesca forma di ricatto, poiché obbliga il bruto, desideroso di accreditarsi nella civiltà, ad acconciarsi ai termini della stessa. Il punto è che l’Egitto di Al Sisi può assomigliare più che altro a una sorta di ‘barbaro’ ricattatore che non ambisce a occidentalizzarsi ma solamente a sfruttare l’Occidente in termini di forniture e di opportunità di sviluppo, il tutto preteso in cambio di accreditamenti come interlocutori economici e politici: un ‘barbaro’, quindi, in posizione dominante, per cui tutt’altro che accondiscendere! Non resta altro che accusare il colpo e rendersi conto che solamente un nuovo nostro colonialismo, non predatorio ma perentorio, filantropico, umanitario, solidale fin che si vuole, può modificare una situazione generale in cui chiaramente Italia, Europa e Occidente risultano in caduta libera. Il Caso Regeni è un banco di prova del nostro peso sullo scenario internazionale, non soltanto nei Paesi arabi. Un nulla di fatto sarebbe una resa ed una disfatta, non solo italiane!”.