GIOVEDÌ 18 GIUGNO 2015

Quel 18 giugno 1815 a Waterloo, non lontano da Bruxelles, in un Belgio annesso allora ai Paesi Bassi, si decisero, dunque, le sorti dell’Europa intera. Duecento anni or sono vi si combattè la grande battaglia che segnò la fine di Napoleone e della sua parabola politica. Una parabola iniziata ufficialmente nel 1797 proprio in Friuli, crocevia naturale del Vecchio Continente, quando, da giovane generale, il Bonaparte impose al potentissimo impero degli Asburgo la cosiddetta Pace di Campoformio. Nel bicentenario, ora, di quella grande battaglia anche il piccolo Fogolâr Civic, cenacolo civico euroregionalista alpino-adriatico con base a Udine, capoluogo della friulanità, s’è radunato per interrogarsi su quel fatto storico e soprattutto su ciò che rimane nella coscienza popolare attuale del ricordo di quello che fu nello specifico il grande sconfitto. “O crôt che il duche di Wellington al vedi salvade la Europe di une ‘globalizazion’ francese!” ha scritto in buona madrelingua friulana dal Regno Unito il giovane sodale sig. Francesco Nicolettis, riconoscendo al comandante inglese vincitore della battaglia il merito di aver salvato il Continente da perniciosa omologazione imposta da Parigi. “Personaggio indisponente e arrogante – ha detto il geom. Sergio Bertini –, un prodotto delle ‘libertà’ seguite alla caduta dell’Antico Regime: venuto ‘dal basso’, fu il primo grande dittatore d’Europa nonchè fondatore della prima Europa unita, ma le forze contrarie riuscirono alla fine a prevalere e a ‘strangolarlo’ più che a sconfiggerlo nella piana di Waterloo!”. Per la signora Luisa Faraci, affascinata sin dai banchi di scuola da un Bonaparte “persona di modesta origine e grande intelligenza, stratega lungamente imbattuto”, la battaglia di Waterloo costituisce un chiaro richiamo alla riflessione sul fatto che “anche chi vince sempre non è infallibile ed è destinato prima o poi a perdere”. “Sic transit gloria mundi”! Pur ammettendo che “ha fatto tanto” di Napoleone la cittadina Elvia Tosolini ha innanzitutto, invece, biasimato l’”arroganza del potere”. “Figura affascinante ma spregiudicata” secondo la dott.ssa Maria Luisa Ranzato: “Come italiana soprattutto non posso perdonargli il sacco dei nostri beni artistici! E poi non lo amo come personaggio per il suo nepotismo molto simile a quello di tanti politici di oggi!”. Napoleone come “l’eroe positivo borghese che ‘dal basso’ unificò l’Europa”: ecco il Bonaparte visto dal dott. Carlo Alberto Lenoci che già nell’atto d’incoronazione dell’“uom fatale” a “Imperatore dei Francesi” e in quel celebre “Dio me l’ha data e guai a chi la tocca!” ha letto l’affermasi di un’idea di potere con una base popolare, da un lato, e di derivazione divina, dall’altro, senza necessità di mediazioni ecclesiastiche. Il cittadino Paolo Pertusati, nell’apprezzare il modello dell’”uomo che dal nulla si fa imperatore”, ha detto che “se l’Europa napoleonica era unita per volontà e sotto lo scettro di un sovrano francese, non propriamente sempre sul volere popolare si regge oggi l’Unione Europea!”: chi ha orecchi per intendere intenda! Bonapartista si è dichiarata la signora Mirella Valzacchi, ricordando come anche sul proprio stemma di famiglia campeggi l’aquila di Napoleone. Alla fine, la posizione del presidente del Fogolâr Civic euroregionalista, prof. Alberto Travain, che ha esordito dicendo: “Il dominio imperiale asburgico in luogo di quello della nobiltà mercantile di Venezia su buona parte di Friuli e Veneto lo si deve a Napoleone, il quale, bene o male, con il Trattato di Campoformio, ‘riunì’ Friulani e Veneti all’impero mitteleuropeo ultimo erede di quello romano e già precursore di un’Europa unita antesignana di quella di oggi. Dal giudizio che si intende dare su quel trattato e sulle sue conseguenze, un sodalizio euroregionalista alpino-adriatico dovrebbe trarre, forse, innazitutto le conclusioni per ‘l’ardua sentenza’ culturale da emettere nei confronti del Grande Corso! Ciò per quanto riguarda una prospettiva ben definita. Per il resto, infinite sono le angolazioni da cui far procedere un giudizio, più o meno, fondato sul Bonaparte. A dover proprio scegliere tra i due contendenti, a Waterloo io avrei forse vestito la divisa francese, ma solamente per romantico amore indirizzato alle cause perse!”.

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