LUNEDÌ 22 SETTEMBRE 2014

Lunedì 22 settembre 2014, a Palazzo Florio, presso l’Università del capoluogo storico del Friuli, il Club UNESCO di Udine, guidato dalla prof.ssa Renata Capria D’Aronco, in occasione delle celebrazioni della Giornata Internazionale della Pace, ha invitato il presidente del Movimento Civico Culturale Alpino-Adriatico “Fogolâr Civic” e del Circolo Universitario Friulano “Academie dal Friûl”, prof. Alberto Travain, a tenere una conferenza, in lingua friulana, intitolata “Il simbul de place tal spirt di pâs e vierzidure al mont de tradizion furlane dal incuintri des diferencis” (La metafora della piazza nello spirito pacifista e cosmopolita della tradizione friulana dell’incontro tra diversità). Travain ha riproposto segnatamente il mito medievale di fondazione di una friulanità crocevia e sintesi di lingue e popoli d’Europa, costituita attorno ad un “forum”, ad un mercato, internazionale, attribuito ed intitolato a Giulio Cesare, il cui monumento cividalese – dono del dittatore italiano Mussolini, posto nel 1935 davanti al municipio di Cividale del Friuli come simbolo di latinità contro la limitrofa, presunta, barbarie slava e germanica – è da oltre un decennio oggetto di une debita, radicale, risematizzazione da parte del Fogolâr Civic e dell’Academie dal Friûl, intenti a restituire alla leggenda cesariana locale la sua storica impronta di centralità europeista e non di chiusura nazionalistica. Il generale apprezzamento del pubblico ha soggiogato le isolate proteste di chi riteneva inopportuno e etnicamente discriminatorio l’uso del friulano in un incontro pubblico, proteste cui Travain ha fieramente tenuto testa, affermando come tale uso sia legalmente ammesso e culturalmente non debba affatto intendersi come rivolto esclusivamente a una comunicazione limitata agli autoctoni bensì all’intera società del territorio di cui quella lingua è espressione del vissuto storico. “Chi vive in Friuli non è obbligato a parlare in friulano ma non può negare ad altri di farlo in ogni situazione della vita sociale e culturale” ha detto il prof. Travain. “Siamo in Italia!” gli è stato gridato. “Qui l’Italia si chiama Friuli oppure non si chiama!” ha ribattuto il relatore: “non si può invocare lo Stato nazionale per calpestare le identità locali. Significherebbe delegittimarlo!”. Amaro il commento del professore: “Circa dieci anni fa mi sono ritirato dal campo, dalla prima linea, della militanza o resistenza linguistica che dir si voglia, perché inascoltato sul fronte di una promozione della lingua friulana divenuta istituzionale, ‘governativa’, poco propensa a considerare certo idealismo, certo volontariato spontaneo, soprattutto se senza legami diretti o indiretti con orientamenti e forze politici o circoli egemoni. Me ne sono andato accettando l’idea che per il mio impegno non ci fosse più spazio e che quel friulanismo istituzionale bastasse ampiamente ormai a difendere e a promuove una lingua assediata da globalizzazione selvaggia e vetusto nazionalismo italiano, riconquistandole od acquistandole spazio vitale nella società. Dopo dieci anni, se ancora, a Udine, in una sala conferenze, l’uso del friulano viene contestato, significa, forse, che ho avuto torto”.

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